L’Umiltà e le rose. Storia di una compagnia femminile a Torino tra età moderna e contemporanea
La scoperta del Libro dell’Umiltà e i vari studi a cui questo manoscritto ha dato il via hanno portato alla luce non solo una fitta rete di rapporti sociali tra donne e istituzioni torinesi, ma anche l’importante opera assistenziale portata avanti da queste donne e il loro contributo alla cultura, anche in senso più ampio, della capitale sabauda. Pubblicato dai tipi della rinomata casa editrice fiorentina Leo S. Olschki e sotto il patrocinio della Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo, il volume L’Umiltà e le rose. Storia di una compagnia femminile a Torino tra età moderna e contemporanea non solo apre una nuova collana scientifica, ma auspica molti nuovi contributi di fondamentale importanza per lo studio del ducato di Savoia.
Gli studi sulle confraternite di laici che, nel medioevo e prima età moderna, offrivano ai loro soci l’opportunità non solo di pregare insieme, ma anche di servire la loro comunità con opere d’assistenza sociale, sono diventati un ramo di studi storici molto frequentato, forse non tanto in Italia, ma certamente all’estero. Nel mondo anglo-americano, per esempio, già da vari decenni laconfraternity studies è all’avanguardia delle ricerche storiche per il suo fondamentale approccio interdisciplinare agli studi e per il suo interessamento a un fenomeno che, dall’Illuminismo a oggi, è stato ingiustamente declassato e ignorato. Il primo congresso internazionale sulle confraternite medievali e rinascimentali in Europa, Ritual and Recreation in Renaissance Confraternities, ebbe luogo a Toronto (Canada) nell’aprile 1989. Da questo incontro, organizzato dal sottoscritto insieme al collega musicologo William R. Bowen, non solo uscirono gli atti (i primi nel mondo anglo-americano), ma nacquero la Society for Confraternity Studies, la rivista Confraternitas (il cui primo numero uscì nella primavera del 1990), e la “Confraternities Collections” (un fondo di libri ed estratti conservato al Centre for Reformation and Renaissance Studies dell’Università di Toronto). Da allora, molti importanti studi sono stati pubblicati dai membri della Society nonché da altri studiosi in vari Paesi europei e transatlantici, che hanno dato prova di grande impegno scientifico e portato in luce importantissimi aspetti finora ignorati dell’enorme contributo delle confraternite al benessere sociale ed economico della società di ancien regime, e non solo.
Con questo volume si spalanca una grande finestra sul mondo confraternale piemontese, spesso dimenticato non solo dagli studiosi stranieri (che generalmente cadono su Firenze, Roma, e Venezia), ma anche da quelli italiani, e a torto. Infatti, gli articoli sulle “Umiliate” ci fanno ripensare e riconsiderare la vita associativa religiosa dei laici piemontesi, ma anche, e soprattutto, il contributo “femminile” al benessere sociale della loro città e società.
Attiva sull’arco di quasi quattrocento anni e cinque secoli diversi a partire dalla seconda metà del Cinquecento per arrivare fino al 1934, la Compagnia dell’Umiltà era una confraternita di donne torinesi dedite sia alla devozione che all’assistenza sociale a favore delle donne più bisognose della capitale sabauda e dei malati ricoverati nell’ospedale cittadino. Assai vicina alla Compagnia di San Paolo, alla quale appartenevano un buon numero dei mariti delle Umiliate, la Compagnia veniva a volte erroneamente considerate il ramo femminile di questa, ma non era così il caso – le donne erano completamente indipendenti sia nella loro fondazione che nel loro operato. L’Umiltà era anche molto vicina alla corte sabauda e, in particolare, alle nobildonne di corte a partire dai rami più elevati di casa Savoia – tra le consorelle erano iscritte, per esempio, Maria Apollonia e Francesca Caterina figlie del duca Carlo Emanuele I; Cristina Maria di Borbone-Francia, moglie del duca Vittorio Amedeo I di Savoia; e Giovanna Maria Battista di Savoia-Nemours, moglie del duca Carlo Emanuele II di Savoia e reggente del ducato durante la minore età del figlio. Oltre alle duchesse sabaude e alle varie dame di corte, vi partecipavano donne sia dell’élite che della classe media. In più, la Compagnia dell’Umiltà era vicina agli ambienti gesuiti del ducato che, infatti, promuovevano vigorosamente l’associazionismo laico a fini di attività assistenziali. Era, quindi, una compagnia religiosa di donne molto presente a Torino e molto ben collegata con i vari ambienti della capitale sabauda.
Fondata sotto la protezione di santa Elisabetta d’Ungheria, emblema per eccellenza di nobildonna che si “umilia” nel servizio dei bisognosi, la compagnia torinese ne fece propria la virtù e lo stile di vita. Con il passare del tempo l’iconologia della confraternita cominciò ad onorare (e confondere) tre diverse sante omonime: sant’Elisabetta, madre di san Giovanni Battista, sant’Elisabetta d’Ungheria, e sua pronipote sant’Elisabetta del Portogallo.
Ad ispirare il presente studio è stata la recente scoperta nell’Archivio di Stato di Torino del volume manoscritto Libro dell’Umiltà, il quale raccoglie i nomi delle varie consorelle della compagnia tra il 1590 e il 1638 – documento prezioso che porta in luce non solo un vasto numero di donne torinesi, ma anche il loro operato in campo sia spirituale che assistenziale. Gran parte dell’archivio della confraternita – sedici registri e faldoni – è stata reperita presso l’Archivio Arcivescovile di Torino. Una schedatura su data base e conseguente studio prosopografico condotto da Nicoletta Calapà ha permesso di identificare un repertorio di ben 1700 consorelle per gli anni 1590-1901, in molti casi ripristinando il loro nome di battesimo e il loro cognome da nubile e sciogliendo ambiguità tra omonimie e date. L’incrocio dei nomi con una vasta gamma di altri documenti d’archivio ha permesso di allargare le informazioni biografiche su molte di queste donne e, quindi, di dar loro una presenza più consistente nel contesto sociale, religioso, artistico, culturale, e politico della città.
Sulla base di questo ricco repertorio su data base si snodano i dodici contributi, diversi scritti a più mani, contenuti nel volume. I contributi sono raggruppati in quattro sezioni: la prima contiene due articoli firmati dalle curatrici, uno di Anna Cantaluppi e l’altro di Blythe Alice Raviola con Pierangelo Gentile, sull’identità istituzionale della Compagnia e sui suoi legami con la corte sabauda e con la Compagnia di San Paolo; la seconda sezione offre due articoli a più firme (uno di Emanuele Colombo e Giorgio Uberti, l’altro di Marcella Maritano, Beatrice Zucca, e Davide Tabor) su aspetti e sull’assistanza sociale che elargiva alle donne del ducato; la terza sezione propone due contributi a mano di Marzia Giuliani e di Paolo Cozzosugli sugli aspetti religiosi e la dimensione devozionale della Compagnia; la quarta sezione, con sei contributi di Rolando Bellini e Melanie Zefferino, Giuseppina Giamportone, Chiara Maria Carpentieri, Simona Santacroce e Luisella Giachino, Luca Bianco, e Stefania Tagliaferri , è la più estesa e spazia sull’iconografia, l’arte, e la letteratura intorno alla santa patrona, Elisabetta d’Ungheria. A chiudere il ricco volume due appendici documentarie, gli abstract in inglese dei vari contributi, nonché vari indici.
Konrad Eisenbichler, professore ordinario presso l’Università di Toronto, si occupa di storia delle confraternite nell’età moderna. Direttore fondatore della rivista «Confraternitas», ha pubblicato vari studi sulle confraternite tra i quali The Boys of the Archangel Raphael: a Youth Confraternity in Florence, 1411-1785 (Toronto, 1998).